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giovedì 28 luglio 2011

Commissione parlamentare d'inchiesta sulle nomine in Enti Pubblici

PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE
D’iniziativa dei deputati
LO PRESTI, BOCCHINO, DELLA VEDOVA, MENIA, CONTE, CONSOLO
Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle nomine in enti e società pubbliche controllate e partecipate dallo Stato
Presentata il 25 luglio 2011
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Onorevoli Colleghi! A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, il nostro Paese ha avviato un profondo processo di riforma strutturale dell’amministrazione nazionale, finalizzato a recuperare l’efficienza e l’economicità dell’azione pubblica. Questo percorso si è basato sulla distinzione tra funzioni politiche, funzioni amministrative e di gestione, sull’introduzione di strumenti e tecniche di regolazione privatistiche, sulla diffusione del modello societario nell’organizzazione pubblica, sul rafforzamento dei poteri e delle responsabilità della dirigenza di Stato. Così facendo, l’Italia ha cercato di recepire le migliori pratiche regolatorie provenienti dal contesto internazionale, diffusesi solo l’ombrello del c.d. New Public Management.
Per dare corpo a queste strategie e tecniche di governo della cosa pubblica, sono fattori cruciali la competenza professionale, l’indipendenza gestionale e il merito individuale di quanti ricoprano incarichi di vertice nell’amministrazione, negli enti e nelle grandi società pubbliche. La selezione dei grandi manager di Stato, dunque, non può più essere affidata alla negoziazione politica e tantomeno a procedure opache di affiliazione o cooptazione interna; le scelte devono essere ed apparire trasparenti, competitive, adeguate.
Il costume politico, tuttavia, non si è dimostrato all’altezza di queste aspettative. Le legislature del maggioritario, al contrario, hanno evidenziato il rapido riemergere della passion des places delle mutevoli maggioranze parlamentari, che hanno applicato un “sistema delle spoglie” all’italiana, rendendo le nomine amministrative una variabile dipendente dal colore politico degli Esecutivi in carica.
Simili fenomeni di malcostume amministrativo non hanno una rilevanza solo politica. Essi creano delle “zone grigie” nelle istituzioni, in grado di favorire, anche indirettamente, la commissione veri e propri illeciti. Ne è prova la recente cronaca giudiziaria, che evidenzia un pericoloso intreccio tra due distinti fenomeni di immoralità pubblica: da un lato, le prassi clientelari, di spartizione e lottizzazione delle nomine negli enti e nelle società di Stato; dall’altro lato, la costituzione di fondi neri da destinare a politici e manager, per orientare gare d’appalto, concessioni, sussidi, licenze. La gestione delle nomine, in questo contesto, può diventare parte di un più ampio accordo di malaffare, oppure essere oggetto diretto di scambio corruttelare.
Questi episodi non si giustificano solo con la scarsa moralità dei singoli; essi hanno cause più profonde: si generano e proliferano negli interstizi di un sistema amministrativo lacunoso, che ignora gli strumenti di prevenzione ed autocorrezione, che appare gravemente opaco nel suo agire, che si dimostra riluttante a ogni forma di controllo effettivo ed indipendente.
È compito del Parlamento, primo giudice e garante della legalità dell’amministrazione, indagare gli assetti organizzativi del potere pubblico in tutte le sue ramificazioni, la qualità della classe amministrativa, le procedure di selezione e valutazione dei manager. Non si tratta, del resto, di una preoccupazione nuova. Già il Rapporto del Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione, istituito nel 1996 dal Presidente della Camera, aveva evidenziato i potenziali rapporti incestuosi tra vertici politici, alta burocrazia e imprese, “quando lo Stato ha larghi poteri di nomina a cariche pubbliche e private”.
Alcune criticità meritano di essere evidenziate. Innanzitutto, l’Italia ha disperso il grande patrimonio di professionalità interna all’amministrazione pubblica (i corpi tecnici, i civil servants per richiamare una terminologia in uso nelle democrazie anglosassoni), ancora forte fino alla metà del secolo scorso. Anche nella scelta di profili manageriali provenienti dall’economia privata, che come mostrano esperienze internazionali possono favorire il trasferimento di competenze e conoscenze nell’apparato pubblico, non prevalgono in genere serie valutazioni di professionalità, quanto logiche di affiliazione politica, a detrimento del vincolo “esclusivo servizio alla Nazione” cui pure le cariche dirigenziali nelle imprese di Stato dovrebbero sottostare.
In secondo luogo, mancano strumenti effettivi di valutazione dei meriti. Questo è vero ex ante, perché non si procede a pubbliche e trasparenti selezioni basate sui curricula degli aspiranti, ma con affidamenti non motivati, senza pubbliche hearings, decisi in sedi lontane dal dibattito pubblico. Ma è vero anche ex post, perché i risultati gestionali conseguiti non sono rilevati secondo standard oggettivi, non sono resi pubblici, non sono utilizzati per decidere le conferme o l’allontanamento degli interessati.
In terzo luogo, la privatizzazione di larghi settori dell’organizzazione amministrativa (compresi enti che svolgono funzioni pubbliche) ha condotto ad un indebolimento dei controlli e delle responsabilità. In particolare, le nomine sfuggono al controllo parlamentare, agli obblighi di trasparenza finanziaria, alla responsabilità erariale della Corte dei conti. Inoltre, dopo la privatizzazione, molte società pubbliche hanno generato una costellazione di enti satellite, con partecipazioni di secondo e terzo livello, spesso solo funzionali all’aumento dei consigli di amministrazione, dei collegi sindacali, degli incarichi dirigenziali.
Il Parlamento, per esercitare pienamente le sue funzioni legislative e di indirizzo politico, necessita, innanzitutto, di acquisire informazioni generali circa la complessità del fenomeno in questione, procedendo ad una completa ricognizione del numero, tipologia e qualità delle società pubbliche, delle procedure di nomina e revoca dei vertici e del loro status giuridico ed economico.
Dopo questa verifica preliminare, si dovranno valutare le prassi e i criteri seguiti per le nomine: accertare la diffusione di accordi clientelari; la presenza di soggetti o interessi non istituzionali che influiscano nelle scelte; il grado di indipendenza operativa e gestionale dei manager di Stato; la trasparenza delle procedure di indirizzo e controllo; la presenza di conflitti di interesse.
Per un verso, la vastità e il rilievo strategico del problema e, per altro verso, la necessità di dotarsi di adeguati poteri istruttori, impongono di dare una piena veste istituzionale a quest’attività di indagine, tramite lo strumento della commissione parlamentare di inchiesta, ai sensi dell’articolo 82 della Costituzione.
Compito della Commissione, all’esito dei suoi lavori, sarà quello di redigere un rapporto che indichi non solo le criticità rilevate, ma, soprattutto i possibili correttivi, di ordine legislativo, regolamentare od organizzativo, in grado di rafforzare la trasparenza delle procedure di nomina e la capacità professionale e l’indipendenza gestionale dei dirigenti delle imprese di Stato.
PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE
Art. 1
(Istituzione della Commissione)
1. Ai sensi dell’articolo 82 della Costituzione, è istituita una Commissione parlamentare di inchiesta, di seguito denominata «Commissione», con il compito di indagare le prassi e le procedure seguite nella XV e nella XVI legislatura, per la nomina dei vertici di enti e società pubbliche, controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, al fine di accertare i criteri adottati e la loro congruità.
2. Laddove rilevi la presenza di prassi che si discostino dal principio del merito individuale degli incaricandi, la Commissione accerterà altresì le eventuali responsabilità individuali e politiche e le pertinenti cause di ordine normativo, amministrativo, organizzativo, funzionale o inerenti le procedure di controllo.
Art. 2.
(Composizione e durata della Commissione)
1. La Commissione è composta da ventuno deputati, nominati dal Presidente della Camera dei deputati, in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo parlamentare. Con gli stessi criteri e con la stessa procedura si provvede alle eventuali sostituzioni in caso di dimissioni o di cessazione del mandato parlamentare o qualora sopraggiungano altre cause di impedimento dei componenti della Commissione.
2. Il presidente della Commissione è nominato dal Presidente della Camera dei deputati tra i componenti della stessa Commissione.
3. Il Presidente della Camera dei deputati, entro dieci giorni dalla nomina dei componenti, convoca la Commissione per la costituzione dell’ufficio di presidenza.
4. La Commissione elegge al proprio interno due vicepresidenti e due segretari, secondo le disposizioni dell’articolo 20, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati.
5. La Commissione conclude i propri lavori entro nove mesi dalla data della sua costituzione.
6. La Commissione presenta all’Assemblea della Camera dei deputati una relazione ogniqualvolta vi siano casi di particolare gravità e urgenza che lo rendano necessario. Alla fine dei propri lavori, riferisce circa i risultati della propria attività, e formula osservazioni e proposte sugli effetti, sui limiti e sull’eventuale necessità di adeguamento della legislazione vigente.
Art. 3
(Compiti della Commissione)
1. La Commissione ha il compito di procedere a completa ricognizione del fenomeno oggetto di indagine, a tale fine accertando:
a)            quanti e quali siano gli enti economici e le società pubbliche, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato o sui quali lo Stato abbia, a qualunque titolo, poteri di vigilanza e controllo sul management, anche se tramite partecipazioni di secondo o terzo livello;
b)            per ognuno, quali siano la data di costituzione, il settore di intervento, le funzioni svolte, il fatturato annuo dell’ultimo triennio;
c)            per ognuno, quali siano le procedure di nomina, conferma e rimozione dei vertici, e quali siano i Ministri o le Autorità che propongono o deliberano le nomine;
d)           per ognuno, quali siano le procedure istituzionali o societarie, di indirizzo, rendiconto e controllo dell’attività gestionale svolta;
e)            i curricula, la durata in carica, il numero di conferme e i compensi dei nominati;
f)             le procedure seguite per la valutazione dei risultati gestionali conseguiti, la loro pubblicità, l’incidenza sulle retribuzioni o sul rinnovo o rimozione dall’incarico;
g)            le eventuali procedure per responsabilità, avviate dalla Corte dei conti, dalla magistratura, dal Ministero vigilante, o da qualunque altra Autorità.
2. Svolte queste verifiche preliminari, la Commissione indagherà sull’eventuale presenza di prassi non conformi al principio del merito o non rispettose delle sfere di competenza riconosciute dalla legge, nonché su ogni altro connesso fenomeno di malcostume amministrativo, a tal fine accertando:
a)            la presenza diffusa di pressioni o influenze indebite, esercitate da terzi, sull’Autorità, sull’organo o sull’amministratore competente per legge, regolamento o statuto all’adozione di una nomina;
b)            la presenza diffusa di pressioni o influenze indebite nel conferimento di un incarico, nonché sugli amministratori di enti o società pubbliche per l’adozione di scelte gestionali od operative;
c)            la trasparenza degli atti di indirizzo politico o societario disposti dall’Autorità vigilante o controllante nei confronti dei vertici degli enti o delle società pubbliche; ovvero, all’inverso, la trasmissione di indirizzi per vie brevi o non formali o esterne ai canali e alle procedure di legge;
d)           l’eventuale proliferare di società di secondo o terzo livello senza un’effettiva giustificazione funzionale;
e)            l’eventuale proliferare di incarichi di vertice, dirigenziali o sub-dirigenziali, al di fuori di una stretta giustificazione funzionale;
f)             incongrue differenze retributive o di status giuridico degli amministratori delle società pubbliche;
g)            la presenza di gruppi, di comitati o di intermediari che millantino un credito o esercitino effettivamente un influenza sulle Autorità competenti alle nomine;
h)            il verificarsi di episodi nei quali la nomina di amministratori pubblici sia stata decisa o comunque influenzata da soggetti o interessi non istituzionali;
i)              evidenze di prassi clientelari nelle nomine, laddove basate esclusivamente o essenzialmente su ragioni di affiliazione partitica degli incaricandi, piuttosto che sui meriti e le professionalità degli stessi;
j)              la presenza di anomalie circa l’assunzione di incarichi da parte di amministratori pubblici presso altri enti, società, associazioni professionali in potenziale conflitto di interessi, avvenuta anche prima o dopo la cessazione dell’incarico pubblico.
3. All’esito delle indagini svolte, la Commissione verificherà e acquisirà ogni utile elemento di valutazione circa:
a)            la trasparenza delle attuali procedure di nomina dei vertici in enti e società controllate o partecipate dallo Stato;
b)            la trasparenza delle procedure di indirizzo e controllo su tali enti e società;
c)            l’adeguatezza della disciplina delle incompatibilità e dei conflitti di interesse degli amministratori di enti e società pubbliche;
d)           l’adeguatezza della disciplina relativa alla trasparenza degli interessi finanziari;
e)            l’efficacia delle procedure di informazione e controllo parlamentare;
f)             l’utilità e la possibilità di trasporre nell’ordinamento italiano le migliori pratiche regolatorie diffuse a livello internazionale; e di accogliere le raccomandazioni e le proposte avanzate da enti e organizzazioni internazionali impegnate nelle tecniche di buona amministrazione.
4. Le indagini svolte riguarderanno le nomine disposte durante la XV e la XVI legislatura, a meno che la Commissione non ritenga necessario, per casi o finalità specifici, procedere a raffronto con le prassi seguite in periodi antecedenti.
5. Sulla base delle evidenze raccolte, la Commissione individuerà una serie di misure legislative, regolamentari o amministrative, di natura organizzativa o procedurale, in grado di rimuovere o contrastare i fenomeni di illecito o di malcostume amministrativo nella materia oggetto di indagine. La Commissione, a tal fine, redigerà un rapporto, differenziando le misure proposte secondo che possano produrre i loro effetti nel breve periodo, nel medio periodo o nel lungo periodo.
Art. 4.
(Poteri e limiti della Commissione)
1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria. La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione nonché alla libertà personale, fatto salvo l’accompagnamento coattivo di cui all’articolo 133 del codice di procedura penale.
2. La Commissione ha facoltà di acquisire copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l’autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti, nonché copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti da segreto.
3. Sulle richieste di cui al comma 2, l’autorità giudiziaria provvede ai sensi dell’articolo 117 del codice di procedura penale.
4. Qualora l’autorità giudiziaria abbia inviato alla Commissione atti coperti dal segreto, richiedendone il mantenimento, la Commissione dispone la segretazione degli atti.
5. È sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell’ambito del mandato.
6. Per le testimonianze rese davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli da 366 a 384-bis del codice penale.
7. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti, le assunzioni testimoniali e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari fino al termine delle stesse.
Art. 5.
(Obbligo del segreto)
1. I componenti la Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni d’ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all’articolo 4, commi 4 e 7.
2. La diffusione in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, di atti o documenti del procedimento di inchiesta coperti dal segreto o dei quali è stata vietata la divulgazione è punita ai sensi delle leggi vigenti.
Art. 6.
(Organizzazione dei lavori della Commissione)
1. L’attività della Commissione è esercitata ai sensi degli articoli 140, 141 e 142 del Regolamento della Camera dei deputati.
2. La Commissione, prima dell’inizio dei lavori, adotta il proprio regolamento interno a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
3. Le sedute della Commissione sono pubbliche; tuttavia, la Commissione può deliberare, a maggioranza assoluta, di riunirsi in seduta segreta.
4. La Commissione può avvalersi dell’opera di agenti e di ufficiali di polizia giudiziaria, di magistrati ordinari, nonché di tutte le collaborazioni che ritiene necessarie.
5. Per l’espletamento delle sue funzioni, la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dal Presidente della Camera dei deputati, senza oneri aggiunti.
LO PRESTI – BOCCHINO – DELLA VEDOVA – MENIA – CONTE – CONSOLO

http://www.futuroeliberta.com/2011/07/27/commissione-parlametare-di-inchiesta-sulle-nomine-in-enti-pubblici/ 

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